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La Commissione spinge Papandreou a misure draconiane
Alberto D'Argenzio
ilmanifesto.it
BRUXELLES
Il piano greco va bene, ma non basta. Se Atene vuole salvarsi dal baratro del fallimento e riconquistare la fiducia dei mercati - impresa non da poco per chi è quasi alla frutta - deve fare di più, aumentando la dose di sudore e sangue nella ricetta già dura che il premier Georges Papandreou ha proposto ai greci. Joaquin Almunia, alla sua ultima apparizione come commissario all'economia, promuove il pacchetto di misure varato dal governo, ma chiede di più e mette sotto stretta osservazione il malato greco.
Questo è il caso clinicamente più difficile che ha incontrato nei suoi sei anni di titolare ai conti pubblici, la conseguenza è che il paese va mantenuto sotto controllo come un paziente economicamente quasi terminale. Dalla settimana prossima Almunia si occuperà di concorrenza, toccherà al finlandese Olli Rehn prendere il testimone e presentare (il 15-16 febbraio) ai ministri delle'Eurogruppo e dell'Ecofin le raccomandazioni tracciate ieri dallo spagnolo. In prospettiva in ballo non c'è solo la Grecia, ma anche altri stati membri in odor di bancarotta, Portogallo e Spagna in primis.

Tornando alla Grecia, Papandreou ha promesso di riportate il deficit finito al 12,7% (quattro volte i limiti di Maastricht) entro i paletti del Patto di stabilità entro la fine del 2012, un obiettivo approvato da Almunia, almeno in termini temporali. «Le misure supplementari annunciate dal governo greco sono adeguate e necessarie, vanno nella giusta direzione - ha affermato il commissario -. Se verso la metà del 2010 questo giudizio positivo resterà, credo proprio che anche i mercati, che adesso mettono sotto pressione l'economia greca, cominceranno a reagire positivamente». Se non reagiranno, saranno guai visto che sono proprio loro adesso a «strozzare» la Grecia secondo Papandreou.
E proprio per evitare il peggio, Bruxelles chiede uno sforzo supplementare al governo ed al popolo greco. «La Commissione - si legge nella valutazione del piano ellenico - raccomanda che la Grecia adotti un pacchetto di riforme strutturali per aumentare l'efficacia della pubblica amministrazione, mettendo in atto una riforma pensionistica e del sistema sanitario, migliorando il funzionamento del mercato del lavoro e del sistema di contrattazione degli stipendi». Si parla di blocco dei salari pubblici, la stessa misura lanciata dal premier e che ora, con il supporto europeo (operazione necessaria, perché richiesta da Bruxelles), rischia di rendere ancor più incandescente il panorama sociale del paese.
Il futuro dei conti greci è quello della messa in sicurezza. Bruxelles non si fida e lo dimostra: i conti e le riforme promesse da Atene verranno monitorate di continuo a partire dal 16 marzo. Seconda visita di controllo il 16 maggio e poi via alle analisi ogni tre mesi. «La Commissione - ha promesso Almunia - controllerà molto da vicino e regolarmente l'esecuzione delle riforme, la cui attuazione è molto complessa e richiede quindi i
l rafforzamento dei sistemi di controllo comunitari».
E qui arriviamo ad un altro punto sollevato da questa vicenda. Il deficit greco che vola a due cifre non è infatti solo il frutto della crisi e di una politica di bilancio poco virtuosa, ma anche il risultato di una falsificazione durata anni, quella dei dati statistici inviati da Atene a Bruxelles. E per questo ieri Almunia ha anche lanciato una procedura di infrazione per i dati fasulli.
Atene ha mentito, è l'accusa, ma, e questo è il corollario, Eurostat, che basa le sue analisi sulle cifre fornite dagli Stati membri, non aveva gli strumenti per accorgersene. Una falla non da poco nel sistema. «Eurostat dovrà avere più poteri di controllo in futuro sulle informazioni trasmesse dagli stati membri - ha detto Almunia - li avesse avuti in passato forse non ci sarebbero stati i problemi che stiamo vivendo adesso».


In ogni caso, va detto che la Banca Centrale Europea teme come la morte (sua) l’uscita dall’euro di qualche Paese, e così, il 19 gennaio scorso, ha emanato una «nota giuridica» che minaccia fulmini a chi osasse staccarsene. La minaccia della BCE consiste in questo: L’uscita dell’euro significa l’espulsione immediata dall’Unione Europea ( nota giuridica qui).

Si noti che nulla di questo è previsto nel Trattato di Maastricht; se mai, a decidere l’espulsione dovrebbe essere il parlamento europeo, poveretto. E’ la prova che sono i banchieri in Europa a dettare legge, e a cambiarla come fa loro comodo.

La BCE, del resto, lo conferma con aperta arroganza nella sua «nota giuridica»: «50 anni di costruzione europea», dice, «hanno creato un nuovo ordine giuridico» che supera «il concetto largamente obsoleto di sovranità», ed impone «una limitazione permanente al diritto degli Stati».

Se è diventata «obsoleta» la sovranità, lo spazio in cui si esplica la democrazia, è diventata obsoleta la democrazia: è dunque ovvio che comandino i banchieri e le lobby finanziarie, come oligarchia irresponsabile e incontrollabile.

Dunque siamo schiavi di lorsignori. E la BCE agita il bastone: «Nessuno Stato può sperare in un trattamento speciale»: nè la Grecia col suo 22% di disoccupati, nè gli altri PIGS*, avranno alcun aiuto. Taglino i salari e le spese sociali. E non provino ad uscire
http://www.marianne2.fr/Incroyable-la-BCE-prevoit-un-scenario-de-rupture-%20%20avec-l-euro_a183589.html
*
(PIGS: Portogallo, Italia (spesso sostituita con Irlanda), Grecia e Spagna. Ovviamente, in inglese, «pigs» significa maiali.)
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