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Marinella Correggia
ilmanifesto.it
Il governo inglese annuncia un libro bianco che proporrà cambiamenti importanti nel mondo in cui gli inglesi viaggiano, lavorano, consumano e abitano, così da mantenere la promessa di ridurre dell'80% le emissioni di gas serra del paese entro il 2050. Gli ambientalisti sono giustamente critici: l'obiettivo cade troppo in là nel tempo (per ragioni di efficacia ed equità, i paesi grandi produttori pro-capite di gas serra dovrebbero ridurre entro il 2030 le proprie emissioni del 90% rispetto a quelle del 1990), e il governo cade in diverse contraddizioni settoriali (in particolare dando impulso allo sviluppo ulteriore degli aeroporti).
Comunque, nel pacchetto clima, il primo ministro Gordon Brown punta sulle «ecotowns», le ecocittà costituite da migliaia di case amiche - o meno nemiche - del clima. Progettare una ecocittà è un buon test per molte idee verdi, anche in materia di trasporti senza automobile e di autoproduzione del cibo. Insomma una nuova comunità, per quanto possibile autosufficiente. Brown aveva promesso dieci ecocittà per un totale di 200 mila appartamenti «a ridottissime emissioni». Ci sono ritardi, ma il piano dovrebbe essere completato entro il 2020. In questi giorni il governo ha dato il via a quattro insediamenti, 10 mila appartamenti in totale, il primo dei quali sorgerà nel 2016 a Norfolk, al posto di un aeroporto in disuso. Le case saranno dotate di tutte le misure di efficienza e autoproduzione energetica (con un risparmio in gas serra del 70% rispetto a quanto imposto dalle norme attuali per riscaldamento e illuminazione), ma anche l'accesso a piedi in pochi minuti al trasporto pubblico, vie ciclabili, uffici, scuole e negozi ecoefficienti, parchi, giardini, servizi idonei, minimo un lavoro per famiglia raggiungibile a piedi o in bici o con mezzi pubblici.
Lanciando l'iniziativa, il primo ministro Gordon Brown, sul quotidiano «The Observer» ha dichiarato che la Gran Bretagna intende essere il paese leader nel mondo nell'ideazione di case verdi e che le ecocittà «aiuteranno a combattere la recessione e a soddisfare il bisogno di case da acquistare o prendere in affitto a prezzi sostenibili, minimizzando al tempo stesso i danni per l'ambiente. Una casa su tre nel nostro paese sarà costruita da qui al 2050. Dunque abbiamo bisogno di standard avanzati».
Ma in molti sono dubbiosi o contrari e si parla di «greenwashing» governativa. Gli abitanti delle aree rurali scelte per le ecocittà si sono spesso opposti ai nuovi insediamenti. Certo ci sono quelli della sindrome nimby (della serie: «fatele da un'altra parte, qui è bello così»); ma non solo loro, anzi. L'organizzazione ambientalista Friends of the Earth, pur approvando il piano, sottolinea che la sfida principale è che i due milioni di case che il governo programma di costruire, e non solo quelle nelle ecocittà, rispondano a standard elevatissimi di rispetto del clima e dell'ambiente.
Inoltre ci si chiede se erigere nuove case e quartieri, cementificando altro suolo, sia davvero la via maestra. C'è proprio bisogno di così tante altre case? Non è meglio rendere ecoefficienti e non lasciare vuote quelle già in piedi? Infatti la Campaign to Protect Rural England, che ha chiesto al governo di ridimensionare il programma ecotowns a una o due cittadine dimostrative, sostiene che «sarebbe meglio concentrarsi sulla ristrutturazione ecologica delle case esistenti, recuperando sia i ruderi che costringendo all'affitto e comunque all'uso le 800 mila case vuote del paese».

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