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La Sardinya è una natzione con una cultura una lingua un territorio, un popolo. 

Osiamo pensare che avremo la nostra indipendentzia da l'Italia.

L'Italia ci ha sfruttato sia come combattenti per la sua Patria che come piattaforma per la gestione militare del Mediterraneo, oltre a usarci sia biologicamente che territorialmente per la prova di nuove armi chimiche e nucleari, in contumacia con Israele,  hanno usato il nostro territorio per fare sperimentazione sulla nostra pelle.

Perdasdefogu e Quirra insegna. 

Non siamo qui per far polemica astratta con nessuno,  ma ribadiamo che: da millenni noi sardi lottiamo per la nostra libertà.

In ricordo di quegli straordinari avvenimenti che ebbero luogo su queste terre, i Cuglieritani (CUGLIERI) hanno posto un segno della memoria, affinchè il sacrificio di tantissimi sardi per la difesa della propria libertà non venga mai dimenticato. Sopra una pietra sta scritto così:


AMPSICORA E HOSTO A SOS TREMIZA PATRIOTTAS SARDOS
CHI PRO S'INDIPENDENZIA 'E SA SARDINNIA IN OJOS SOS LUGORES DE SU MARE PO' NO ESSER ISCRAOS DE ROMA IN CUSTAS BADDES DE DOLORE HANT DERREMADU SU SAMBENE ISSORO CAMPU 'E CORRA 215a.C. 



 (Ad Ampsicora e Josto,
ai tremila patriotti sardi che,
per l'indipendenza della Sardegna,
negli occhi i bagliori del mare,
per non essere schiavi di Roma,
in queste valli di dolore
hanno versato il loro sangue.
Campu 'e Corra 215 a. c. )
ADNKRONOS

I Romani conquistarono a pieno anche la Barbagia , si dice: ma non s'infrange il mito dell'indipendentismo sardo, Ampsicora e Jhosto, si sacrificarono per la nostra Patria, assieme ad altri tremila gherreros, gherra gherra a sos colonialistas, paxi paxi a is gherradores sardus!

Questi presunti studi, che addicono a una presunta sottomissione dei barbaricini, nulla cambiano nella storia sarda, con i suoi martiri per la libertà AMPSICORA in primis, ma rafforzano l'intento attuale dei patrioti sardi di raggiungere al più presto la nostra libertà !! 

Prima dei banditi, ad Orgosolo arrivarono i Romani. In Sardegna nuove ricerche nell'aspro territorio della Barbagia rivelano una realta' finora impensabile: quelle zone non furono affatto refrattarie alla civilta' greco-romana. Inedite testimonianze archeologiche permettono ora di riscrivere intere pagine della storia dell'isola.

Alla straordinaria scoperta dedica un ampio reportage l'ultimo numero della rivista ''Archeologia Viva'' (Giunti Editore). In Sardegna qualcuno ancora non riesce a crederci, ma i dati archeologici parlano chiaro: i Romani riuscirono a penetrare nel cuore della Barbagia, piu' precisamente nell'insospettabile Supramonte di Orgosolo, dove nuove scoperte costringono a riscrivere un importante pezzo di storia. In localita' Sirilo', un immenso altopiano calcareo a oltre mille metri di altitudine, ore di cammino a piedi ancora oggi per raggiungere il centro di Orgosolo: qui, durante lo scavo di un villaggio nuragico si sono spalancate le porte per una nuova interpretazione di come andarono le cose al tempo dei Romani.

Dalle fonti classiche sappiamo che i Greci e i Latini conoscevano bene la Sardegna. Le testimonianze di Erodoto, Diodoro Siculo, Strabone e, soprattutto, Pausania raccontano di popolazioni greche in fuga da Troia guidate da condottieri che si rifugiarono sui monti dell'isola. Notizie riprese nel Novecento che hanno creato tra le popolazioni della Barbagia il mito che nelle zone interne la colonizzazione romana, iniziata nel 238 a.C. durante la seconda guerra punica, sia stata respinta dalla forte resistenza degli stessi barbaricini, che non si sarebbero sottomessi.

Ma la storia non e' esattamente questa, come spiega un lungo articolo pubblicato su ''Archeologia Viva'', a firma di Maria Ausilia Fadda, l'archeologa della Soprintendenza di Sassari e Nuoro che da decenni conduce scavi in quelle che sono considerate le aree piu' impenetrabili della Sardegna.

Oggianu Marco 
i movimenti indipendentisti hanno già discusso a lungo su questo articolo e appurato che si tratta di una bufala. 
Militarmente i Romani in Barbagia ci entrarono ma vennero respinti attraverso una lunga lotta di resistenza, da un nemico che essi nemmeno riuscirono nemmeno a vedere (come gli americani in Vietnam). 
Sul fatto che poi i Barbaricini oggi parlino una linuga neolatina, beh anche Attila parlava Latino, anche tutti i Germani l parlavano, eppure Roma non riuscì mai a conquistarli.

“De Bello Sardo”,  la nuova crociata dei falsi storici.

pubblicata da Oggianu Marco il giorno venerdì 20 gennaio 2012 alle ore 13.08


La Professoressa Maria Ausilia Fadda, archeologa di tutto rispetto, sembra anche una persona molto umile e con le affermazioni sulle sue scoperte, che comunque sono interessantissime, ci va molto cauta. Prima il villaggio di Gremanu, presso Orune, poi i recentissimi scavi in località Sirilo, presso Orgosolo, dimostrano che mentre Roma dominava l’intero mondo occidentale di allora, nella Sardegna centrale si sviluppava una civiltà parallela che, dopo aver respinto per secoli ogni tentativo di invasione, con eventuale conseguente deportazione degli abitanti e schiavitù, non disdegnava di importare presso le sue umili dimore prodotti da tutto il Mediterraneo. Arazzi, tappeti, anfore, pentole, monete, indumenti ricercati sia maschili che femminili: una civiltà evoluta ed elevata, che disponeva di vie di comunicazione e commerciava costantemente con la parte romanizzata della Sardegna, ne conosceva lingua, abitudini, usanze, religione e vizi. Insomma altro che Pellites o Mastrucati Latrones (ma Cicerone non usava questo termine contro i Barbaricini, bensì contro i corrotti funzionari latini che abitavano Cagliari), gli abitanti delle Civitates Barbariae erano un Popolo colto e raffinato, degni eredi sia della civiltà Nuragica, che di quella Sardo Punica o Cornense di Apmsicora.


La Professoressa Fadda questo lo ribadisce, e si limita ad affermare che quello della Barbagia eternamente resistente, agreste, selvaggia, è un mito letterario.

Insomma potremmo riscrivere tranquillamente la storia ufficiale (ma esiste poi una storia ufficiale della Sardegna? A scuola si impara questa storia?) parlando di Civitates Barbariae o nominandone i popoli uno per uno, come facevano gli stessi storici Romani: Balares, Ilienses, Jolaei, Giddhilithani, Uddhaddhadar, Corsi, Gallilensi, Nurrensi e via dicendo. Popoli rispettati, riconosciuti, quasi adorati da quelli che, sempre secondo la letteratura attuale, avrebbero dovuto esserne i nemici. Una Sardegna pacifica insomma, quella tardo imperiale, dove differenti culture convivevano, commerciavano e si accettavano l’un l’altra senza problemi. Il contrario del pocos, locos e malunidos tramandatoci dai “balentes” culturali e dalla letteratura burbera e triste ancora oggi in voga.


Sarà dall’incrocio di queste differenti culture che, scomparso l’Impero Romano e sparita Bisanzio nasceranno i Giudicati. Le due e più Sardegne si amalgamano, si incrociano, come un tempo fecero sotto Amsicora, sotto differenti Judex e si alleano per respingere i Saraceni come precedentemente avevano fermato e respinto i Vandali. Il diritto Romano, l’organizzazione circolare Nuragica, le Ardie, veri e propri eserciti locali, si uniscono e creano un federazione multiculturale, come potrebbe essere oggi quella Elvetica.

Qualunque popolo in qualunque parte del Mondo così interpreterebbe e tradurrebbe le scoperte interessanti degli archeologi che hanno lavorato nel villaggio Nuragico (e sottolineo Nuragico) di Sirilo.


Non in Sardegna, quella attuale intendo. Qui le scoperte di anfore e scodelle non autoctone in territorio barbaricino diventano armi da guerra, armi politiche e persino culturali. Non aspettavano altro alcuni Sardi del Capo di Sotto per esprimere le loro frustrazioni e i loro complessi di inferiorità ribadendo che Sardi puri non ne esistevano e che tutti si erano venduti, erano stati sconfitti, fatti schiavi e dominati da Roma. Bastano i titoli di alcuni giornali per capire il tono: “A Orgosolo prima dei banditi arrivarono i Romani” oppure “Orgosolo Provincia di Roma”. E leggendo gli articoli più a fondo ancora peggio: nelle pacate e prudenti affermazioni della Professoressa Fadda i giornalisti vedono subito Legioni, guerre sanguinose, poveri nani sardi barbuti vestiti di pelli in catene a Roma, donne sarde baffute e simili a scimmie che si gettano ai piedi dei bei Centurioni di razza superiore pregandoli di sposarle. Ribadiscono un po’ quel che scrisse Massimo Pittau quando ancora non si dedicava alla civiltà Nuragica, e che poi smentì. Praticamente affermava che l’uso della lingua Latina in Barbagia venne diffuso dalle donne, le quali, morti i propri uomini in guerra, avevano cercato di dimenticarli gettandosi letteralmente tra le braccia dei vincitori, Legionari o Centurioni, perché attratte dal fascino delle divise e dalla loro bellezza “continentale”. I Romani essendo da tanto tempo lontani da casa si accontentarono di quei mostri al femminile, gli insegnarono il Latino e li ingravidarono in massa, quindi se ne andarono, dando così origine a una generazione di Sardo-Latini che poi sono i Barbaricini di oggi. La storiella di Pittau ora diventa verbo per molti dalle parti dei bastioni, che lo ribadiscono ogni volta nel Gennargentu affiori qualcosa di non agreste, rozzo, folklorico o pellita. Sardi contro Sardi, senza alcunché di scientifico, senza alcuna prova, solo leggende metropolitane di stampo brutalmente maschilista e razzista che forse Pittau nella sua ingenuità giovanile prese da qualche vecchio ubriacone dalle parti di Sant’Avendrace, e delle quali si pentì immediatamente. 


Nemmeno Tacito, Tito Livio, Virgilio o Cesare sarebbero arrivati a tanto nell’esaltazione del proprio Stato. Il De Bello Gallico, scritto da Cesare per esaltare Roma e se stesso, più obiettivo del De Bello Sardo, scritto da Sardi per avvilire Sardinia e se stessi. Anzi chissà cosa avrebbero pensato gli antichi Romani leggendo questi articoli o sentendo le affermazioni di alcuni dei presunti storici nostrani. Forse lo stesso che pensano, ma non dicono, i politicanti italiani vedendo alcuni sfigati che arrivano da un’Isola adorarli, omaggiarli, chieder grazia e se non la ottengono tornarsene a casa dopo aver pregato di scusarli per il disturbo.


E’ la Sardegna attuale, quella senza coscienza storica, culturale, morale, quella che si prostra da anni davanti a pescecani, sfruttatori, corrotti e corruttori, quella che si vergogna di se stessa e si sente inferiore, quella che permette speculazioni di ogni tipo per un tozzo di pane, quella che si fa avvelenare per due miseri stipendi. La Sardegna che si rifiuta di lottare e aspetta eserciti stranieri che la conquistino e la schiavizzino. E quando non ci sono se li inventa. Tacito e Livio avrebbero riso di questo, come risero e ironizzarono sui collaborazionisti che tradirono Amsicora. Mentre invece Amsicora, che combatté sino alla morte, lo esaltarono pur essendo nemico di Roma. E ridono oggi, i politicanti italiani, quando vedono i questuanti sardi davanti alla loro porta.

Ma c’è di peggio in questa avvilente vicenda, e non sono le speculazioni “storiche” lette ultimamente, ma riguarda la Sovrintendenza. Scavi di pinnettas e ovili finanziati a Sirilo e Gremanu fanno da contraltare all’abbandono e al degrado in cui versa il sito di Cornus, sepolto da erbacce, rifiuti e in preda ai tombaroli, ai lavori cominciati e mai terminati al Nuraghe Nuraddeo di Suni, dove si stava tirando fuori la torre più alta della Sardegna, alla città mai scavata intorno al Nuraghe Losa, o a quella tra il Nuraghe Santu Antine e il Nuraghe Boes nella Valle di Torralba, o alla stessa Barumini, o al Nuraghe Belveghile di Olbia, smantellato e sventrato per farci passare sopra un viadotto, o alle centinaia di siti ignorati in tutta la Sardegna che non basterebbe una pagina per elencarli. Piccoli ovili di epoca romana e insignificanti chiesette di campagna illuminati a giorno anche la notte, in modo che si vedano bene da ogni strada; i Nuraghi al buio, e meno si vedono meglio è, perché la nostra deve essere per forza storia di vinti, sconfitti, schiavizzati, repressi e depressi. Contenta la destra nazionalista italiana, che può così dimostrare che la Sardegna è parte e ha bisogno dell’Italia per sopravvivere. Contenta la Sinistra che può dipingere i Sardi come eterne vittime bisognose di assistenza, schiavi che solo una rivoluzione in Italia potrà emancipare, sempre che rinuncino alla loro sardità.


E’ il De Bello Sardo, una guerra contro la storia e la cultura di un Popolo, per meglio controllarlo e dominarlo. E’ la guerra dei mercenari corrotti delle città contro le Civitates Barbariae, che riprende sempre più violenta. Sta a chi sente Sardo nello spirito salire ancora una volta sulle montagne della propria coscienza e resistere, poiché i Balares, gli Ilienses, gli Jolaei, i Nurrensi e tutti gli altri sono ancora dentro di noi. Risvegliamoli e riportiamoli nelle decadute e corrotte città Romane, per dar vita a una Sardegna diversa, una Sardegna libera, indipendente e aperta al Mondo.

 
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