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Andrea Pili
de SdL
pro Sa Defenza

Nel 1947 nacque la commissione Unscop –sotto l’egida delle Nazioni Unite- composta dai rappresentanti di undici nazioni: Australia, Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Jugoslavia, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia e Uruguay; con il compito di costruire un programma per la spartizione della Palestina. Ciò che ne venne fuori fu qualcosa di davvero incredibile e illogico: nonostante gli ebrei detenessero soltanto il 6% delle terre coltivate compreso in un totale del 10% della regione,[1] ai sionisti fu assegnato ben il 56% della Palestina. Agli arabi fu assegnato il 42% della regione mentre il 2% di questa (Gerusalemme) fu affidata all’Onu.

Nella parte ebraica vi erano ben 438.000 arabi, quasi pari agli ebrei (499.000). Il piano era chiaramente troppo sproporzionato in favore dei sionisti, i quali avevano già manifestato la propria aggressività oltre che una certa arroganza rappresentata dal loro leader Ben Gurion il quale dichiarò: “non ci sono confini per un futuro stato israeliano”.

Ovviamente la Lega Araba respinse il progetto di spartizione in quanto assolutamente ingiusto nei confronti degli arabi. Tale progetto fu però approvato a larga maggioranza dall’assemblea dell’Onu con 33 voti favorevoli (tra cui Urss, Usa e Francia), 13 i contrari (tra cui i sette stati arabi) e 10 astensioni (tra cui la Gran Bretagna). Solo a questo punto i sionisti si dichiarano favorevoli al piano di spartizione. E’ la risoluzione 181. Il comportamento dell’assemblea fu gravissimo in quanto diede riconoscimento internazionale all’esistenza di uno stato sionista e della sua classe politica scellerata, che si macchierà di ignominiosi crimini in barba anche ai provvedimenti dell’Onu stessa. Il voto di Stati Uniti e Unione Sovietica è molto significativo; entrambi i paesi contavano di sostituirsi all’influenza britannica facendo di Israele un baluardo del proprio rispettivo campo politico; non è un mistero che alcuni sionisti simpatizzassero per le idee marxiste e che i monarchi arabi erano filo-occidentali.[2]

Il 15 maggio 1948 lo stato ebraico proclama l’indipendenza, cessato il mandato britannico. Lo stesso giorno gli eserciti di Siria, Transgiordania, Iraq, Egitto ed un contingente dell’Arabia Saudita attaccano lo stato di Israele. Gli stati arabi erano spinti dall’opinione pubblica ad un’azione contro il sionismo, ma di fatto i rispettivi governi non avevano alcuna voglia di spingersi in questa avventura sapendo di essere in condizioni di netta inferiorità di armi, nonostante la superiorità numerica (80.000 contro 60.000). Inoltre i governi di Egitto e Transgiordania cercarono di fare il minor sforzo possibile e di ottenere qualche territorio compreso nello “stato arabo palestinese”; la monarchia hashemita di Transgiordania era militarmente la più forte ed il suo re Abdullah era a capo dell’esercito. Nonostante ciò, Abdullah si rivelò un traditore avendo già un accordo con Israele per la cessione alla Transgiordania di metà Gerusalemme con la città vecchia; in questo modo i sionisti neutralizzarono il nemico più temibile.

L’Egitto cercò un impegno solo di facciata, mobilitando l’esercito solo due giorni prima delle ostilità e componendolo solo per metà di Fratelli Musulmani, in gran parte scarcerati per l’occasione, totalmente privi di addestramento militare. Siria e Libano erano completamente impreparate. L’Iraq fu l’unico paese che si impegnò seriamente e con discreto successo; ciò era dovuto all’eroismo del suo esercito, il quale si ribellò agli ordini governativi di limitarsi a difendere la Cisgiordania (ambita da re Abdullah) e riuscì a difendere per molto tempo quindici villaggi arabi a Wadi Ara, salvandoli dalla pulizia etnica. I contrasti riguardo tale conflitto crearono un solco incolmabile tra l’esercito iracheno e la monarchia destinato a risolversi nel 1958 con il golpe del colonnello Kassem e con i processi istituiti appositamente per analizzare il modo in cui fu gestita la partecipazione alla prima guerra arabo-israeliana.

Israele riuscì a respingere gli attacchi arabi con successo grazie alla superiorità militare dovuta ai cospicui rifornimenti di armi ricevuti dall’Unione Sovietica e dalla Cecoslovacchia. Così, mentre il blocco orientale sostiene apertamente il sionismo, i principali fornitori degli arabi, Francia e Gran Bretagna avevano deciso di porre un embargo sulle armi in Palestina, lasciando così i paesi arabi con un esercito male in arnese. Nel giugno 1948 l’esercito sionista frena già l’avanzata e stipula una tregua con gli arabi; il conflitto riprende in luglio quando in dieci giorni Israele passa all’offensiva portando la coalizione araba verso Gerusalemme, la Galilea e il Golan. Dopo questi nuovi insuccessi gli arabi ottengono una seconda tregua fino ad ottobre; ora Israele si dirige verso il sud della regione attaccando solo l’Egitto conquistando il Negev e distruggendo definitivamente l’intervento in favore dei palestinesi.

Sino al febbraio 1949 tutti i paesi arabi impegnati nel conflitto (tranne l’Iraq) stipulano un armistizio con Israele. La regione che la risoluzione 181 aveva assegnato allo stato arabo e all’Onu fu spartita tra Israele, Egitto e Transgiordania: la striscia di Gaza va all’Egitto (che formalmente non la annette); Gerusalemme ovest è occupata da Israele; alla Transgiordania va Gerusalemme est e la Cisgiordania. Grazie ai nuovi territori re Abdullah crea la Giordania, la quale si ritroverà ad accogliere una grossa parte degli oltre 500.000 profughi palestinesi. Questi profughi in Giordania –sostenitori dei nazionalisti arabi repubblicani- saranno sempre visti come un nemico dalla monarchia hashemita che rese la Giordania il peggiore stato della regione, traditore degli altri fratelli arabi. In questo periodo nacque l’Unwra, l’associazione dell’Onu per l’aiuto dei profughi palestinesi.

A questo punto non può mancare la perla dei sionisti: l’omicidio Bernadotte, questione che merita uno spazio apposito. Folke Bernadotte, presidente della Croce Rossa Svedese, durante la seconda guerra mondiale era riuscito a salvare migliaia di ebrei dai campi di sterminio e per questo fu accolto con favore dagli ebrei come inviato dell’Onu in Palestina per mediare tra le due comunità in lotta. Ma i sionisti fecero male i conti: Bernadotte infatti si era reso conto subito da che parte stavano gli oppressi e così –nel suo rapporto Onu- oltre a proporre un nuovo piano di spartizione, chiese il ritorno incondizionato di tutti i profughi arabi.[3] Tuttavia ai sionisti il rapporto di Bernadotte non garbava affatto e durante la seconda tregua, il 17 settembre 1948 Bernadotte fu assassinato da dei terroristi ebrei ex componenti della banda Stern.[4] L’Onu accolse il rapporto del pacifista svedese e prese un provvedimento per il ritorno incondizionato dei profughi; inutile dire che Israele l’ha sempre ignorato.

Note
[1] Essi rappresentano solo il 33% della popolazione.
[2] A differenza del popolo su cui regnavano.
[3] Si riferiva soprattutto a quelli dovuti alla pulizia etnica prima del maggio 1948.
[4] Vedi la terza puntata.

BIBLIOGRAFIA
Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina
Enciclopedia Peruzzo Larousse
Giovanni Codovini, Storia del conflitto arabo-israeliano-palestine



nota de sa defenza
Guerra del 1947-49 La risoluzione dell'O.N.U. del novembre 1947 prevedeva la spartizione della Palestina compresa a ovest del Giordano tra uno Stato arabo e uno Stato ebraico. Quest'ultimo doveva inglobare la Galilea orientale, la piana di Esdraelon, la fascia costiera compresa tra Haifa e Tel Aviv e una gran parte del Negev: una superficie di 12.000 kmq. Il «piano» prevedeva che Gerusalemme, antica capitale ebraica della cristianità e dell'islam, divenisse zona internazionale. In realtà, soltanto le clausole concernenti lo Stato ebraico vennero applicate, ma su un territorio sensibilmente più vasto; così sia i dirigenti della popolazione araba palestinese sia i Paesi membri della Lega araba rifiutarono il «piano di spartizione» e si opposero con la forza alla sua applicazione.

Lo Stato d'Israele è stato fondato il 14 maggio 1948, qualche ora prima della scadenza del mandato britannico sulla Palestina, in conformità a una risoluzione dell'O.N.U. del 29 novembre 1947, conosciuta col nome di «piano di spartizione». La proclamazione dell'indipendenza, letta da David Ben Gurion, presidente del governo provvisorio, in una sala del museo d'Arte di Tel Aviv, era redatta nella lingua della Bibbia ebraica, scelta come lingua ufficiale del nuovo Stato. Questo testo evocava il passato nazionale ebraico, la diaspora, il primo Congresso sionista (1897), .. gli Ebrei che ritornavano in massa nel Paese ... , la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917, confermata dal mandato della Società delle Nazioni,.. la risoluzione dell'O.N.U. e infine «il diritto naturale e storico [...] di costruire uno Stato ebraico in Palestina».

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