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Marzio Pagani

ilribelle.com

Edizione italiana, finalmente, di un clamoroso libro dedicato a una delle più importanti multinazionali della Terra. Dagli Ogm al controllo dei media. Senza che nessuno lo sappia.

Fra i grandi temi del momento, grande clamore hanno suscitato i pericoli che starebbe correndo la libertà di stampa in Italia, con tanto di frotte di giornalisti in piazza e politici in passerella. Legittimo, bisognerebbe però chiedersi come viene usato da noi questo prezioso bene, se i nostri giornalisti hanno il coraggio di attaccare frontalmente i veri gangli del potere, se hanno la voglia di imbarcarsi in duri lavori di ricerca per costruire dossier, inattaccabili da cause di risarcimento, nella tradizione del miglior giornalismo di inchiesta e denuncia, o, più ancora, se le loro testate sono disposte a lasciare loro la libertà (che ritengono in pericolo) quando il bersaglio è qualcuno che fornisce, e potrebbe togliere, pubblicità: la risposta, a parte la Gabanelli e il team di Report - e poche altre realtà - è fin troppo palese.

Difficilmente vedremo presi di petto poteri economici forti, citando nome cognome e, soprattutto, marchio, se poi si tratta di una delle multinazionali più influenti. Meglio occuparsi della escort del momento, sia il giornalista che la testata rischiano meno. In Francia, invece, dove esistono canali come “Arté”1 e un’altra tradizione di libertà, il caso giornalistico è stato il rilascio de “Il mondo secondo Monsanto” firmato da Marie-Monique Robin, Premio Albert Londres 19952, che, naturalmente, in Italia nessuno ha mai mandato in onda.

All’emissione televisiva la Robin ha fatto seguire un libro dal medesimo titolo, che si è rivelato un vero caso editoriale, con grande successo di vendite oltralpe.

Il libro, che scava con rigore giornalistico e scientifico nei misfatti della Monsanto, è disponibile in Italia, com’è naturale per una pubblicazione di sicuro successo per un settore come l’editoria sempre in crisi e in caccia di sovvenzioni. Non sono, però, stati i grandi editori, che avrebbero avuto buon gioco ad accaparrarsi i diritti, garantendo poi quella diffusione e visibilità che porta ad un sicuro ritorno economico. No, ci sarebbe voluto troppo coraggio. Così a rendere disponibile al lettore italiano questo promettente titolo, c’è voluto un editore realmente non allineato e fuori dal coro come Arianna Editrice. La vera libertà di stampa la si difende rendendo di pubblico dominio cosa si cela dietro la più influente multinazionale del mondo: la Monsanto. Altro che i bagni di palazzo Grazioli.

Quello impiegato in Vietnam come “diserbante” nella guerra Usa, continua tuttora a mietere vittime tra la popolazione civile. Produzione d.o.c. della Monsanto, of course.

Il lavoro di acquisizione di informazioni della Robin sorprende per minuziosità e attendibilità, e se così non fosse stato la Monsanto, che dispone delle migliori schiere di avvocati degli Stati Uniti, non avrebbe esitato a scagliarsi contro di lei. Proprio l’assenza di azione legale, pertanto, è la miglior garanzia della veridicità di quanto la giornalista francese affermi, questo per tacere del costante lavorio di intralcio che la giornalista ha subito a tutti i livelli, sia nella fase di diffusione che in quella di acquisizione dell’informazione.

Quanto emerge dal libro è da far accapponare la pelle, almeno per chi, e ahino sono molti, non ha mai sentito parlare di Monsanto. Sono molti perché la Monsanto ha sempre ben saputo manovrare l’informazione, e non solo quella mediatica, ma anche quella scientifica e istituzionale. I dati che emergono dall’indagine della Robin sono raccapriccianti, la multinazionale dei PCB, della BST, dell’Agente Arancio e degli OGM gode di ottima reputazione istituzionale, ma lo schema delle porte girevoli che il libro rivela spiega tutto. “Porte girevoli”: così viene chiamato il passaggio di persone dalla multinazionale verso le istituzioni statali e scientifiche e viceversa, garantendo così un controllo quasi completo di colui che dovrebbe, invece, controllare.

Non solo questo: la Robin ha trovato grandi difficoltà nel raccogliere dati, perché la Monsanto è anche riuscita a gettare sistematicamente discredito su tutti gli oppositori stroncandone le carriere, e non tutti sono stati disposti a bruciarsi di nuovo parlando con la giornalista.

Di tutto ciò però abbiamo solo l’eco di un documentario di Arté trasmesso in Francia, come accennato, e dal libro edito da Arianna, mentre è assordante il silenzio dei giornalisti che sono scesi in piazza strepitando per una libertà di stampa che non usano, e ancor meno dai grandi gruppi editoriali che sanno ben nascondersi quando il rischio è reale. E non c’è solo da agitare il fantasma di rigurgiti fascisti e derive autoritarie. Quando c’è il rischio di perdere un inserzionista, perché Monsanto in pubblicità di soldi ne spende eccome, la libertà di stampa passa in secondo piano.

Va detto, come emerge dal libro, che la capacità di mistificazione della Monsanto è spettacolare: durante la guerra del Vietnam riuscirono addirittura a nascondere la reale portata della tossicità del prodotto anche all’esercito americano, e non stiamo parlando dei soldati, della carne da cannone, ma dei più alti gradi delle forze armate. Non è un caso che uno dei più acerrimi nemici della multinazionale sia un Ammiraglio che ha mandato il figlio a morire credendo che, invece, nell’azione bellica, il supporto del terribile diserbante avrebbe salvato vite americane. Un diserbante che in Vietnam continua a uccidere e a causare malformazioni attraverso falde irrimediabilmente inquinate, ma le reazioni di quelli che furono i fieri Vietcong ora sono marginali, la Monsanto riesce a controllare le istituzioni di un popolo che il più potente esercito del mondo non riuscì a domare.

Anche l’Unione Europea, in un singulto d’etica, vieta l’ormone della crescita bovina BST prodotto da questa azienda. Ma la Fao/Oms (leggi WTO) non se ne avvede.

Il fattore arancio è, però, poca cosa a confronto dei PCB, impiegati su larga scala come refrigeranti, e la cui incredibile tossicità è stata tenuta a lungo nascosta e il cui divieto di impiego fu ottenuto dopo molti sforzi. Altra minaccia è l’ormone di crescita bovina BST, vietato in UE, che viene propagandato come assolutamente innocuo per bestie e persone, mentre vi sono evidenze in senso diametralmente opposto. Il Codex Alimentarius, però, organismo sopranazionale FAO/OMS, naturalmente senza base democratica ma vincolante ai fini WTO, non sembra riuscire a vedere queste evidenze e appoggia la visione del mondo secondo Monsanto, anche una volta che l’Europa si era mossa nel senso giusto.

Sugli OGM, le acrobazie Monsanto raggiungono il culmine, facendo passare nella legislazione il concetto di equivalenza sostanziale dei suoi prodotti di ingegneria genetica, che sono sì, abbastanza diversi da potere essere brevettati, ma abbastanza uguali per non dover essere controllati prima della messa in circolazione.

Essendo poi sostanzialmente equivalenti l’etichettatura non c’è perché non può interessare il consumatore e poi lo porterebbe a scelte irrazionali condizionate da ragioni emozionali e antiscientifiche. Non a caso i migliori giuristi e lobbisti sono al servizio di Monsanto.

I brevetti sugli esseri viventi, infine, sono il grande colpo messo a segno dalla multinazionale della chimica che vuole dare un’immagine agricola, un colpo che, tramite le sementi ibride, sta mettendo in ginocchio molte economie del sud del mondo e colpendo a morte la biodiversità.

Questo è solo un piccolo assaggio del capillare, lungo e professionale lavoro della Robin su una delle più potenti multinazionali al mondo. Un lavoro improbo e irto di difficoltà, non ultimo un rischio di querela da far impallidire le piccolezze italiane, e a cui non è stato dato giusto risalto in Italia. Ma si sa, meglio bazzicare i palazzi che fare del giornalismo d’inchiesta, sono storie molto più avvincenti per catturare il lettore. Eppure, lette le prime righe, non si riesce più a staccare gli occhi dalle pagine della Robin.


Note:

1) Canale culturale monotematico bilingue franco-tedesco

2) Maggior premio giornalistico francofone, una sorta di Pulitzer francese « Notre métier n'est pas de faire plaisir, non plus de faire du tort, il est de porter la plume dans la plaie. » Cette maxime d’Albert Londres résume bien l'idéal de ce professionnel de l'information qui reste une référence pour de nombreux journalistes français. Depuis 1933, le Prix Albert Londres récompense les meilleurs journalistes francophones.
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