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MESSINA
Nel greto del torrente c'è una carcassa di quella che una volta era una Fiat Uno. Tutt'intorno ci giocano i bambini. Dalle casupole coi tetti in eternit e i rivestimenti in plastica verde ondulata, una madre li richiama urlando. Non è Sanpaolo, in Brasile. E' Messina. In Italia. Anzi, in Sicilia. Non è una distinzione geografica, è una distinzione di competenze. Perché a vigilare che in un torrente (e a Messina ce ne sono una quindicina) non ci siano carcasse d'auto, bambini che ci giochino e famiglie che ci
abitino ai margini, è compito della Regione. Che delega al Comune. Che allarga le braccia. «Non ci sono soldi», è il mantra. E tutto continua. Finché qualcuno muore. Come nel 1998, tra ottobre e novembre, quando la furia delle acque esondate dal torrente Annunziata travolge la famiglia Carità e un giovane cingalese il corpo del quale non sarà mai più ritrovato. Un copione che si ripete, a zone alterne, ogni anno all'arrivo della stagione delle piogge.
Giampilieri, Alì, Scaletta, nella zona ionica, la più disastrata, la più colpita. Annunziata, Guardia, Mili, San Filippo nella periferia della città. Tutti disastri che qualcuno aveva già previsto, con una precisione chirurgica. Nostradamus? No. L'assessorato regionale al Territorio e Ambiente, in un documento ufficiale. Il Piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico del 2006 fotografa un territorio, siglato «102», ovvero l'area territoriale tra il bacino del torrente Fiumedinisi e Capo Peloro. Messina e la sua provincia più prossima. Dovrebbe essere la Bibbia della prevenzione, invece è stato ignorato. A leggerlo, la precisione delle previsioni è agghiacciante.
Già nel 2006, il faldone da 155 pagine era in grado di prevedere con esattezza quasi matematica cosa e come sarebbe successo. E dove. L'assessorato veste i panni dell'aruspice, ed indica, sulle quarantatre aree complessive definite «a rischio», cinque siti potenzialmente catastrofici, classificati a rischio «elevato» e «molto elevato» per fenomeni di esondazione. Sono i torrenti Guardia, San Leone, Santo Stefano, Mili, San Filippo. Tutte zone lungo le quali si è costruito, si continua a costruire ed è previsto che si costruisca ancora. Tutti torrenti per i quali il massimo della prevenzione riguarda la pulizia stagionale, effettuata con cadenza approssimativa, per evitare che l'acqua si fermi sui rifiuti e sui detriti che fanno discariche dei corsi d'acqua.
E' una terra inquieta da sempre, Messina, soggetta alla furia di tutti gli elementi. La terra si muove, e l'acqua non è mai stata da meno. Sul sito internet del progetto Avi (aree vulnerate in Italia), alla voce «archivio piene» sono presenti dodici schede di censimento inondazioni nel territorio comunale. La prima è datata 20 ottobre 1920, l'ultima è ancora da aggiornare. Perché, se in centro i torrenti che l'attraversano perpendicolarmente dalle colline al mare col tempo sono stati coperti per esigenze di viabilità, in periferia e in provincia sono stati lasciati colpevolmente alla mercè dell'uomo. Qualche esempio? Torrente Guardia, all'altezza del litorale che d'estate si riempi di locali notturni e bagnanti diurni. Nel suo bacino idrografico il piano individua una situazione di «rischio molto elevato» nei pressi dell'abitato di Marotta superiore, frazione di qualche centinaio di case attraverso le quali l'alveo è stato trasformato in viabilità principale. Oppure il torrente San Leone, che scorre nel cuore dei villaggi popo
lari di san Michele e Badiazza, le cui abitazioni hanno accesso esclusivamente dal torrente e la strada arginale è alla quota d'alveo, dentro il cui il greto a capodanno è tradizione consolidata dar fuoco ad una pira di legna e spazzatura. O ancora il torrente San Filippo, a monte dello stadio che, all'epoca della serie A del Messina calcio ospitava quarantamila persone a domeniche alterne, considerato anch'esso a «rischio molto elevato» in corrispondenza del villaggio San Filippo superiore. E poi c'è il torrente Giampilieri, intorno al quale nei secoli è sorto il paesello spazzato via da mezza montagna crollata a valle. In un corso d'acqua di qualche chilometro, il piano d'assetto idrogeologico registra quattordici aree a rischio.
Ad Altolia, frazione isolata a due giorni dalla tragedia, sono perimetrate sei aree a rischio R2 per la presenza di case sparse e strade rurali in alveo, a Molino, borgo la cui strada d'accesso si è sbriciolata, la presenza di case sparse e strade di accesso a fondi agricoli determina un'area a rischio R2. Più a valle sono segnalate un'area a rischio R4, il massimo, e una a rischio R3 sulla strada provinciale n. 33 che collega Giampilieri a Molino. Tutti luoghi nei quali oggi si piangono venti morti. Ecco cosa significa «catastrofe annunciata».
MESSINA
Nel greto del torrente c'è una carcassa di quella che una volta era una Fiat Uno. Tutt'intorno ci giocano i bambini. Dalle casupole coi tetti in eternit e i rivestimenti in plastica verde ondulata, una madre li richiama urlando. Non è Sanpaolo, in Brasile. E' Messina. In Italia. Anzi, in Sicilia. Non è una distinzione geografica, è una distinzione di competenze. Perché a vigilare che in un torrente (e a Messina ce ne sono una quindicina) non ci siano carcasse d'auto, bambini che ci giochino e famiglie che ci
Giampilieri, Alì, Scaletta, nella zona ionica, la più disastrata, la più colpita. Annunziata, Guardia, Mili, San Filippo nella periferia della città. Tutti disastri che qualcuno aveva già previsto, con una precisione chirurgica. Nostradamus? No. L'assessorato regionale al Territorio e Ambiente, in un documento ufficiale. Il Piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico del 2006 fotografa un territorio, siglato «102», ovvero l'area territoriale tra il bacino del torrente Fiumedinisi e Capo Peloro. Messina e la sua provincia più prossima. Dovrebbe essere la Bibbia della prevenzione, invece è stato ignorato. A leggerlo, la precisione delle previsioni è agghiacciante.
Già nel 2006, il faldone da 155 pagine era in grado di prevedere con esattezza quasi matematica cosa e come sarebbe successo. E dove. L'assessorato veste i panni dell'aruspice, ed indica, sulle quarantatre aree complessive definite «a rischio», cinque siti potenzialmente catastrofici, classificati a rischio «elevato» e «molto elevato» per fenomeni di esondazione. Sono i torrenti Guardia, San Leone, Santo Stefano, Mili, San Filippo. Tutte zone lungo le quali si è costruito, si continua a costruire ed è previsto che si costruisca ancora. Tutti torrenti per i quali il massimo della prevenzione riguarda la pulizia stagionale, effettuata con cadenza approssimativa, per evitare che l'acqua si fermi sui rifiuti e sui detriti che fanno discariche dei corsi d'acqua.
E' una terra inquieta da sempre, Messina, soggetta alla furia di tutti gli elementi. La terra si muove, e l'acqua non è mai stata da meno. Sul sito internet del progetto Avi (aree vulnerate in Italia), alla voce «archivio piene» sono presenti dodici schede di censimento inondazioni nel territorio comunale. La prima è datata 20 ottobre 1920, l'ultima è ancora da aggiornare. Perché, se in centro i torrenti che l'attraversano perpendicolarmente dalle colline al mare col tempo sono stati coperti per esigenze di viabilità, in periferia e in provincia sono stati lasciati colpevolmente alla mercè dell'uomo. Qualche esempio? Torrente Guardia, all'altezza del litorale che d'estate si riempi di locali notturni e bagnanti diurni. Nel suo bacino idrografico il piano individua una situazione di «rischio molto elevato» nei pressi dell'abitato di Marotta superiore, frazione di qualche centinaio di case attraverso le quali l'alveo è stato trasformato in viabilità principale. Oppure il torrente San Leone, che scorre nel cuore dei villaggi popo

Ad Altolia, frazione isolata a due giorni dalla tragedia, sono perimetrate sei aree a rischio R2 per la presenza di case sparse e strade rurali in alveo, a Molino, borgo la cui strada d'accesso si è sbriciolata, la presenza di case sparse e strade di accesso a fondi agricoli determina un'area a rischio R2. Più a valle sono segnalate un'area a rischio R4, il massimo, e una a rischio R3 sulla strada provinciale n. 33 che collega Giampilieri a Molino. Tutti luoghi nei quali oggi si piangono venti morti. Ecco cosa significa «catastrofe annunciata».