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di PAOLO CARTA
giornaleonline.unionesarda

proietile di uranio impoverito

I sei paracadutisti della Folgore morti in Afganistan dopo un attacco dei talebani erano suoi colleghi. Giuseppe Di Giorgio, ex ufficiale del corpo speciale, si è commosso davanti alle
immagini in tv, al dolore dei familiari, ai funerali di Stato. «Vorrei che gli italiani sapessero di tanti altri ragazzi soldato, decine e decine, ormai centinaia, morti ugualmente per aver servito lo Stato nelle missioni di pace nelle zone di guerra. Ma lo fanno in silenzio, tra atroci dolori, in un lettino d'ospedale, uccisi dai tumori diagnosticati dopo il Kosovo, la Somalia, l'Iraq, l'Afganistan. E non hanno nessun funerale ufficiale, nessun sostegno se non quello dei genitori e delle mogli che li assistono sino all'ultimo».
L'occasione per parlare di tutto questo è stato un convegno organizzato ieri a Cagliari dall'associazione di avvocati “Articolo due”. Alla luce di un recente decreto del Presidente della Repubblica, lo Stato ha deciso di risarcire i civili e i militari che si sono ammalati di tumore non soltanto nei Balcani, in Somalia o nella altre zone di guerra dove è intervenuta la forza multinazionale di pace della Nato, ma anche nei poligoni, compresi quelli sardi di Teulada, Quirra e Capo Frasca. Gli aspetti legali della richiesta di risarcimento danni (ormai quasi in scadenza) sono stati approfonditi dai giuristi. A Giuseppe Di Giorgio, 39 anni, ex ufficiale legatissimo alla Sardegna («mio padre è di Alghero, mia madre cagliaritana») è toccato raccontare la sua esperienza: prima linea da paracadutista e ritorno a casa con un tumore, linfoma di Hodking.
La partenza per l'ex Jugoslavia?
«Nel maggio del 1999, destinazione Sarajevo».
Compiti?
«Presidio del territorio, ponti radio e itinerari strategici. In servizio tra carri e blindati ridotti a rottami da bombe e sparpagliati dappertutto nell'ex Jugoslavia».
Cap. G. Di Giorgio

Particolari precauzioni?
«Nessuna. Ci hanno detto soltanto di stare attenti. Sia in città sia in periferia c'erano zone interamente recintate con filo giallo: terreni minati».
Gli Usa avevano comunicato anche altro allo Stato Italiano.
«L'ho saputo dieci anni dopo, dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha riconosciuto un risarcimento record ai familiari di un militare morto per tumore dopo il Kosovo. Gli Stati Uniti avevano suggerito all'Italia di dotare i soldati di protezioni speciali visto che avevano utilizzato armi all'uranio impoverito».
L'Italia ha mandato i soldati a morire?
«Guardi, io sono stato militare, mio padre e mio nonno erano generali dell'Esercito, io sono andato via soltanto perché mi avevano destinato allo Stato Maggiore e a me non andava il lavoro di ufficio. Non rinnego niente. Sono sicuro che i miei superiori, generali e colonnelli della Folgore, non sapevano niente come me. Parlo di superficialità, non di cinismo. Io, un parà, incaricato di agire in velocità, agilità, clandestinità e precisione, non avrei potuto lavorare a Sarajevo bardato con tute e maschere anti-radiazioni».
Errori su errori della Difesa italiana
«Sì, di organizzazione e utilizzo degli uomini.».
La sua malattia?
«Linfoma di Hodking. Combatto con radar e chemioterapia».
Ha cambiato lavoro?
«Sì: ora mi occupo di vendite immobiliari».
Secondo l'Osservatorio militare, un'associazione a tutela delle vittime in divisa, la Sardegna e suoi poligoni sono contaminati come l'ex Jugoslavia.
«È verosimile e probabile. Le forze della Nato, Usa compresi, hanno sperimentato e testato dieci-vent'anni fa, le armi poi utilizzate nella guerra del Golfo e dei Balcani e in Afganistan e Iraq».
Ci sono i riscontri scientifici, al di là delle smentite di Stato?
«Nei linfonodi prelevati dal mio corpo e sottoposti a biopsia, la dottoressa Antonietta Gatti di Modena, consulente della commissione parlamentare di inchiesta sulla sindrome dei Balcani, ha trovato nanoparticelle di metalli pesanti che per forma e dimensioni possono essere causate solo da esplosioni a temperature raggiungibili esclusivamente con l'utilizzo di uranio impoverito. Le stesse riscontrate nei tessuti dei militari malati senza aver mai partecipato alle missioni all'Estero, impegnati solo nelle esercitazioni a Teulada o Quirra».
Lo ha riconosciuto anche la recente legge.
«Appunto. Ci sono zone interdette, nei poligoni sardi si spara da 50 anni: verosimilmente qualcosa è successo se adesso si è deciso di risarcire i malati, militari e civili, che vivono in quelle zone».
Ma tutto è coperto dal segreto di Stato.
«Ovviamente».
Forze armate e industrie belliche straniere rilasciano una semplice autocertificazione sull'attività svolta nei poligoni sardi.
«Io penso che la procedura faccia parte di accordi internazionali. Ho vissuto le missioni di pace all'Estero e visto come vanno le cose».
Cioè?
«Male. Non c'è coordinamento. Gli italiani non sanno quel che fanno gli inglesi o i tedeschi, magari subentrano in certe aree per un compito senza sapere cosa è successo sino al giorno prima».
La soluzione?
«Istituire un vero esercito della Nato che si addestri e lavori insieme tutto l'anno, che ne so, a Bruxelles. Anche stavolta per andare in Afganistan hanno fatto la conta: un po' di italiani, quattro polacchi, due greci, quanto basta di inglesi... Così si aumentano i rischi per tutti».
I soldati italiani fanno a gara per le missioni: stipendio doppio.
«Guardi, io ho visto i parà partire con entusiasmo, slancio, purtroppo anche incoscienza. Se prima il guadagno maggiore poteva essere un incentivo, adesso no: si è capito che c'è il rischio di ammalarsi e morire. E non c'è prezzo che possa risarcire una vita».
Un rammarico?
«Avrei voluto essere a conoscenza dei rischi a cui andavamo incontro io e i miei commilitoni. C'era una zona delimitata per la presenza di mine, dovevano essere segnalati anche i territori bombardati con sostanze radioattive. Tanti, troppi soldati sono poi morti per un tumore al ritorno da quelle missioni. Eroi come i sei parà uccisi in Afganistan o come i soldati ammazzati a Nassirya».

esercitazione spiaggia san lorenzo Quirra (CA)


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